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Parrocchiale di S. Materno
Notizie storiche, redatte e documentate dal Dott. Ing. Pierangelo Frigerio con la collaborazione del Geom. Giovanni Bergamaschi

La Chiesa di S. Materno, parrocchiale di Orasso, sorge all'estremità est del paese, cui offre la facciata, risultando così pure essa orientata .
E' di antica origine: si conserva infatti sul lato a settentrione - a mo' di sagrestia- , vano della primitiva chiesetta romanica, il cui campanile, alquanto discosto, verso ovest, ha conservato l'originario, splendido paramento in pietra viva a vista.
Dell'oratorio romanico tuttavia non vi è traccia nel noto elenco di chiese milanesi (sino al secolo scorso Cannobio e la sua pieve appartennero alla diocesi ambrosiana), il "Liber Notitiae Sanctorum Mediolani", attribuito alla fine del sec. XIII (1). In esso si parla delle chiese di Brissago, S. Agata, Traffiume, Cavaglio, Gurro, Viggiona, Pino, Tronzano, Maccagno, Campagnano; ignorati Orasso, così come la Veddasca vera e propria e Cannero (ma per luogo, "curtis" pertinente alla chiesa novarese, l'omissione è perfettamente comprensibile). Sono elencate in compenso due misteriose chiese, di S. Barnaba e di S. Maurizio, dette in "Valintrasca " di Cannobio.
Nessuno ha sinora interpretato plausibilmente tali curiose indicazioni. Per il S. Barnaba si può pensare a Monteviasco dove esiste la chiesa dei Ss. Martino e Barnaba; ma come conciliare l'inserimento di tale estrema propaggine della Veddasca -oltre il resto poi sempre unita alla Valle Dumentina- con l'assenza delle chiese di Cadero, Graglio, Arnio, Lozzo Biegno, alcune delle quali almeno sono certamente più antiche del "Liber notitiae"? Quanto al S. Maurizio si potrebbe pensare a una distorsione, gratificante plausibile, del nostro S. Materno; ma perché allora quel termine di "Valintrasca" che non si applica a Gurro? Ad una costruzione tardo duecentesca, o addirittura trecentesca, del S. Materno si oppongono d'altronde i caratteri del campanile che possono essere al più rinviati all'inizio del XIII secolo.
Il quadro si chiarifica in seguito: è pressoché certo che il S. Materno sia la chiesa indicata come "capella de valle Canenina" [sic] nella altrettanto nota "Notitia cleri mediolanensis" (a. 1398) (2).
Proprio dalla "Notitia cleri" ricaviamo informazioni circa la struttura ecclesiastica della Pieve di Cannobio, ormai alle soglie della disgregazione in parrocchie. Per ovvie esigenze geografico-ambientali si guadagnano per prima l'indipendenza dalla plebana le località più dislocate: Brissago, Piaggio, Cannero, valle Veddasca, Trarego e Viggiona, Tronzano e Pino, e -naturalmente- la valle principale, la Cannobina.
Per quanto sia da pensare che ogni nucleo abitato avesse già e da tempo una propria cappella (come documentato per Gurro e Cavaglio), il luogo prescelto dai canonici per amministrare i sacramenti in valle -e per converso la chiesa su cui si erano riversate elemosine e lasciti dei fedeli, in modo da costituire un beneficio- è quello più centrale; in sostanza sono lasciati a Cannobio, perché al borgo più vicini, Traffiume , Gurrone, Cavaglio e S. Agata; Orasso raccoglie Crealla, Falmenta, Spoccia, Gurro, Cursolo; Finero resta probabilmente, e sin dalle origini, legato alla Valle Vigezzo:
A quanto pare data al 1335 la residenza in Orasso d'un cappellano, con giurisdizione sulle località vicine che abbiamo nominato. Ai nostri fini è comunque rilevante la storia della chiesa a partire dal XVI secolo. E' del 1554 la convenzione delle popolazioni di Orasso, Cursolo e Spoccia con prete Dionigi Pinottino per l'esercizio congiunto della cura nei tre villaggi; a questo punto Gurro e Falmenta già probabilmente si reggono indipendentemente, anche se è attribuita al 1569 la formale costituzione della cura; Spoccia si stacca poi da Orasso nel 1615, e Cursolo nel 1620 (3).
La descrizione della chiesa, quale ritroviamo nelle numerose visite pastorali nell'età dei due Borromei, completano l'idea della chiesa "romanica", quale è possibile farsi dai resti esistenti. La cappella absidale era affrescata con le figure di Dio Padre e dei quattro Evangelisti, "vetustate consupti", che i visitatori Politi e Patalli nel 1567 ordinarono di obliterare (4); ordine ottemperato poiché nel 1578 il visitatore Taruggi parla di "cappella fornicata sed non picta" (5). Ma, come vedremo, le pitture più che rimosse furono soltanto occultate.
Altri affreschi esistevano sulla parete settentrionale, dove era posto un altare dedicato alla Madonna ed ai Ss. Antonio e Rocco (6). L'altare fu poi levato per ordine personale dell'arcivescovo Carlo Borromeo, il quale aveva anche stabilito che si aprisse una "nizza" nella seconda arcata della chiesa (7); di fatto più non esisteva nel 1578, ma la nicchia non era stata aperta e ancora erano visibili le figure affrescate (8). Il S. Antonio Abate è del resto stato riportato in luce nella attuale sagrestia.
Il Politi vide una chiesa in parte coperta a volta e in parte con il tetto a vista; vi era una finestrella dietro l'altare, separato dalla navata mediante due muriccioli a mo' di balaustra; tre le porte. Sul lato meridionale della chiesa esisteva un porticato, sorretto da cinque colonne (modulo questo tipico in valle; anche la chiesa di Traffiume ne possedeva uno, destinato alle riunioni vicinali). Mancava il battistero, ma c'era il sacrario. Segno che l'acqua benedetta era ancora portata dalla plebana (9).
Nel 1574 Carlo Borromeo trova un nuovo battistero (inidoneo tuttavia e privo d'acqua, poiché la pietra era assorbente…). Il santo presule descrive la chiesa come "satis oblunga, sed angusta; pro parte fornicata tribus fornicibus et pro reliquia parte assidibus soffitata", in proporzione di circa metà e metà; l'abside "non admodum magna" era ora rinchiusa con cancelli lignei. A sinistra dell'altare vi era una finestra, "congrua"; altra finestra nella parete meridionale, dove si aprivano due porte. La terza porta era posta nella parete di facciata. La casa del curato era "annega ecclesie in frontispicio" (10). Fra gli altri ordini, vi furono nell'occasione anche quelli di levare un assito che era posto dietro l'altare, a mo' d'ancona, e di costruire una nuova sagrestia, chiudendo parte del portico ed "usando l'uscio piccolo" (11).
Nel 1578 la sagrestia risultava ormai costruita (e il Portico, di conseguenza, decurtato di una campata); non si comprende bene se sia stata modificata nell'occcasione la finestra absidale, che ora risulta a sud, con grata ferrea e stamigna, bassa tanto che dall'esterno si poteva guardare entro la chiesa (12).
Gli atti della visita 1605, del card. Federico Borromeo, forniscono ulteriori informazioni (13); della cappella presbiterale -tuttora decorata con l'immagine di Dio Padre- furono rilevate le misure, corrispondenti alle attuali (cinque cubiti di lunghezza = m. 2,10; meno di nove in larghezza = c.ca m. 3,50). Le misure della navata ("unica navi constat, longitudine patet cubitis 41, latitudine a cancellis altarie altaris usque ad medietatem ecclesie cubitorum 13, altitudine novem") lasciano invece nell'incertezza .
Una lunghezza totale di oltre 17 metri può sembrare eccessiva, ma collima -specialmente se la si ritiene comprendere anche l'abside- con due possibili riscontri. In base alla misura della sagrestia (lunga 7 cub. e quindi c.ca m. 3), pari ad una delle originarie quattro campate del portico, il portico stesso risulterebbe lungo più di 12 metri, ciò che ben è compatibile con la citata maggior lunghezza della navata; inoltre con una dimensione del genere si arriva a tangere la parete est della casa parrocchiale, il cui sedime deve grosso modo corrispondere a quello cinquecentesco, allora per l'appunto unito alla facciata.
Quanto alla misura di 13 cub. (= c.ca m. 5,50), risulta ancor più difficile spiegarla. Poiché i cancelli si estendevano "extra angulos capellae" per 2,5 cub. (= c.ca m. 1,05), abbiamo un totale di c.ca m. 6,60 dalla cappella alla metà della chiesa, laddove terminava la parte coperta a volta e cominciava quella soffittata in legno ("coelum a cancellis usque ad medietatem ecclesiae est fornicatum quatuor arcubus distinctis; …coelus vero a medio ecclesiae usque ad frontispicium est sublaqueatum"). A quattro archi corrispondevano tre campate di volta, come risulta dal confronto con i dati della visita 1574 ("ecclesia…pro parte fornicata tribus fornicibus"), poiché la superstite lesena del primo arco, verso l'altare, suggerisce un interasse delle campate pari a c.ca m. 3, si dovrebbe avere una lunghezza totale della parte in volta di oltre m. 9 e non di m. 6,60; giova concludere che la misura è stata presa non dai cancelli dell'altare, ma dalla prima lesena.
Altre notizie sono fornite dagli atti del 1605. La porta di facciata era più vicina alla parete meridionale, il che ben si combina con l'esistenza della casa parrocchiale nella posizione attuale (si veda per questo l'ipotesi di restituzione della chiesa originaria, in disegno). Nella parete aquilonare erano i SS. Sebastiano e Materno. Dei quattro archi, il primo (verso l'altare?) era dipinto con le figure di S. Michele ed altri santi. Più non si parla dell'altare laterale e delle immagini dei SS. Antonio e Rocco. All'interno la chiesa era assai buia, per esserle addossato il portico verso sud ed un terrapieno verso nord.
Che cosa resta di tal primitiva chiesa? Oltre all'intatto campanile è conservata l'abside, parte della parete settentrionale, parte delle volte verso l'altare; modesti assaggi e scavi, potrebbero confermare le ipotesi circa la forma originaria; se abbiamo visto giusto, la chiesa era assai allungata; ciò derivava con ogni probabilità da un prolungamento di epoca imprecisata, quando alla struttura in volta era stata aggiunta una campata con copertura in legno, forse in sostituzione di portico anteposto ricostruito poi sul lato. La porta per cui si accede dal presbiterio alla sagrestia, è nel sito di quella antica, ma utilizzata in senso inverso; in conclusione, ai tempi del card. Federico, la sagrestia era posta ove adesso è il presbiterio, e la parte orientale della chiesa coincideva con l'attuale sagrestia.
Il card. Federico, rilevata l'oscurità della chiesa, ordinò dapprima di aprire qualche idonea finestra, nonché di coprire in vivo anche la parte soffittatata in legno. Posteriore, e incertamente riferibile al Borromeo, il munifico dono di 100 lire, da erogare -unico alla somma di 150 lire accollata agli abitanti- "in restauratione ecclesiae, facta prius examinatione et deliberatione per architectus Butium" (14). Manca purtroppo la data: se riferibile alla visita del 1605, si deve pensare all'architetto Lelio Buzzi che col Borromeo collaborò; se si spostasse l'ordine ad epoca più tarda, e magari al card. Monti negli anni Quaranta del secolo, sarebbe giocoforza pensare a Carlo Buzzi, cui furono per l'appunto affidati molti incarichi per le chiese verbanesi nel 1642 (15).
In queste condizioni è ben difficile dire se l'uno o l'altro dei due architetti milanesi abbia messo mano alla nuova fabbrica, iniziata -come subito vedremo- nel 1763. vi è invero qualche tarda notizia di lavori agli inizi del '600 (16), ma per ora inattendibile.

* * *
Preciso è il referto degli atti di visita arc. Filippo Visconti (a. 1786) (17): "edificata fuit haec ecclesia anno 1676, relicta veteri ad usum sacristiae, et dicata S. Materno archiepiscopo mediolanensi, cui etiam dicebatur vetus ecclesia, ac expensis ecclesiae restaurata habetur anno 1779". La data è confermata da molte prove concomitanti. Vi è innanzitutto il decreto del visitatore Tranchedino (a. 1678): "inscriptionis verba quae sunt supra ianuam maiorem ecclesiae a parte epistolae deleantur quae verba sic incipiunt": adì 11 maggio 1673 Giacomo e Antonio Mazzi fratelli del loco d'Orasso posero la prima pietra (18); si tratta evidentemente di una ingenua epigrafe, nella quale vollero essere eternati gli artefici o i benefattori cui si doveva l'inizio dei lavori.
Un biglietto aggiunto ad atti di visita pastorale ricorda poi: "La chiesa parrocchiale fu ricostruita nell'anno 1675, come risulta dagli atti di morte di uno caduto dalla fabbrica di detta chiesa e morto nel giorno deguente d'anni 65". (19)
Vi è infine la testimonianza -sia pure tarda, perché dettata all'inizio del nostro secolo- della epigrafe posta nella chiesa medesima, al di sopra della porta meridionale; la riportiamo qui di seguito, avvertendo che la data 1679 va corretta in 1676, come sappiamo e come del resto va fatto per renderla compatibile con il pontificato di clemente X, conclusosi appunto nel 1676:


D.O.M.
REGNanTE CLEMENTE X.P.M. TEMPLVM HOC Anno MDCLXXIX
DIVO MATERNO Episcopo MEDIOLanensi DICATUM
A SOLO EXTRVEBATVR
RELICTO VETERE AD VSVM SACRARII
ANno MDCCCLXIII SVMPTibus IOSEPHI MORONII OLIM HVIVS R. PAROCHI
DEINDE POST ANno VNO SUPRA TRIGESimo MVNICIPIO POPVLOQUE ORASSI
PROPRIO AERE SOLVENTIBVS
[INSTAVRATVM (?)]

(Il riferimento ai lavori del 1863 concerne la decorazione ad affresco eseguita dai fratelli Avendo di Varallo, per lascito del fu Giuseppe Moroni, già parroco di Graglia Piana e vicario foraneo) (20).
Che i lavori fossero terminati nel 1676 si evince anche all'ordine di pari data, seguito alla visita del canonico Francesco Dardanone, su mandato dell'arc. Litta (21): egli disponeva che l'altare maggiore fosse separato dalla navata mediante balaustra marmorea poiché gli esistenti cancelli lignei erano ingombranti e poco decorosi. E' evidente il riferimento ad una situazione ancora precaria ma all'interno d'un edificio ormai agibile.
L'edificio -risalga o meno ad un'idea dei Buzzi- presenta forme dignitose, conformi alla visione architettonica che in area milanese si consolidò nella scia del Richini e dei suoi seguaci. Dell'arredo e apparato decorativo, va ricordato l'altar maggiore, pregevole opera d'intaglio (purtroppo depauperata per furto d'alcune statue) che si direbbe coeva alla nuova chiesa e che ancora attende uno studio particolareggiato; gli altari laterali sono dedicati, quello sinistro alla Madonna del Rosario, quello destro a S. Mauro abate (21)

 

NOTE
1 - Liber notitiae sanctorum Mediolani, a c. M. MAGISTRETTI - U. MMONERET DE VILLARD, Milano 1917, coll. 26A, 26B, 52B, 97B, 119A, 186C, 206A, 231A, 231B 247B, 255B, 293C, 312B, 327B, 345C, 379C,394A.
2 - Notitia cleri mediolamensis de anno a398 circa ipsius immmunitatem, a c. M. Magistretti, in "Archivio storico lombardo", XXVII (1900), pp. 11-75, 257-304: n° 57.
3 - C. BERGAMASCHI - V. BERGAMASCHI - A. ZAMMARETTI, Patrimonio culturale e religioso della valle Cannobina, Gurro-Torino 1986, pp. 29 sgg., 69-77 (G. Mazza)
4 - ARCHIVIO STORICO DIOCESANO MILANO (ASDM), X, Cannobio, vol. 21, q.1.
5 - ASDM, X, Cannobio vol. 13, q. 2.
6 - Loc. cit. a no. 4.
7 - ASDM, X, Cannobio, vol. 21, q.8.
8 - Loc. cit. a no. 5.
9 - Loc. cit. a no. 4.
10 - ASDM, X, Cannobio, vol. 21, q. 4.
11 - Loc. cit. a no. 7.
12 - Loc. cit. a no. 5.
13 - ASDM, X, Cannobio, vol. 28, cc. 387v-403v.
14 - ARCHIVIO PARROCCHIALE ORASSO (APO), Visite pastorali.
15 - Cfr. "Verbanus 2-1980", pp. 279sg.
16 - APO, Relazione del vice parroco G.B. Cottini (1845) c.ca): scrisse egli dapprima che la chiesa "fu ricostrutta ed ampliata nell'anno 1635", ma corresse poi l'anno in 1614 e infine lo sostituì con: 2ma si ignora precisamente in qual tempo".
17 - ASDM, X, Cannobio, vol. 34, pp. 196-208.
18 APO, Visite pastorali .
19 - Ibidem.
20 - APO, Relazione parroco G.B. Cottini (circa 1870). Secondo la stessa l'antico titolo della parrocchiale sarebbe stato S. Salvatore.
21 - ASDM, X, Cannobio, vol.24, c. 264r: visita del card. Federico Visconti (a. 1683).


 


 








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